Quadrilogia della vendemmia con prologo ed epilogo

di Raffaella Guidi Ferderzoni

Prologo

Avere tanti anni sulle spalle significa cominciare ad avere un bagaglio di ricordi che colma cassetti ed anche armadi. Ad aprirli si rischia di sentirsi rovesciare addosso sensazioni spiacevoli che pensavamo dimenticate, ma anche di far volare libere farfalle sopravvissute al chiuso del tempo. I miei anni ormai li conto con le Vendemmie e non con le Primavere. Mi sento parte di una tribù particolare che non rischia l’estinzione, bensì la proliferazione. È bene che sia così, che le nuove generazioni enofile si accrescano, che l’interesse per il mondo del vino e per i suoi protagonisti aumenti.

A volte per guardare dritto avanti è necessario voltarsi indietro, ricordare quello che è stato per fare meglio quello che sarà. Il mio contributo è scritto nei capitoli seguenti. Un’esperienza limitata alla mia vita, quindi fallace e parziale, senz’altro veritiera per quanto mi riguarda. Le Vendemmie di cui racconto non sono proprio in ordine cronologico, ma seguono il filo balzellante dei miei ricordi.

1988 – L’età dell’innocenza
Quell’anno andò così: Il Vecchio Gentiluomo aveva bottiglie centenarie in cantina. Non era il solo, altre famiglie possedevano testimonianze di vino imbottigliato dalle generazioni precedenti. Ma il suo era il più famoso e conosciuto, il più costoso e prestigioso. Una fama costruita con intelligenza e basata su di una storia familiare che mescolava verità e leggenda.

Intorno alla sua proprietà esistevano altre vigne e altri produttori. Negli ultimi dieci anni erano arrivati nuovi personaggi che cominciavano ad essere noti, a vendere e ad ampliare il prestigio del luogo. Un posto baciato da Dio e dalla Storia, che aveva vissuto anni bui dopo l’ultima guerra e che era riuscito a risollevarsi recuperando lo smalto di un passato ricco di soddisfazioni. Erano arrivati tanti soldi e l’investimento di capitali americani. C’erano quindi le premesse di un gran successo, l’interesse per i vini di qualità stava aumentando, grazie anche ad una generazione di giornalisti che si stava formando.

Per tornare al Vecchio Gentiluomo, egli aveva pensato di celebrare i cento anni di quel vino che dormicchiava nel buio e nel fresco della sua cantina, poche bottiglie riportanti sull’etichetta il magico numero 1888. L’etichetta in verità era stata disegnata negli anni Cinquanta, ma il vino era autenticamente centenario. Così il Nostro andò dal Sindaco di allora ed insieme cominciarono a progettare un evento celebrativo, coinvolgendo anche gli altri produttori, in gran parte riuniti nel Consorzio. La faccenda si ingrandì, vi fu interesse anche da parte di organismi statali istituiti per promuovere la produzione italiana del mondo, persone che in qualche modo dovevano giustificare stipendi tutt’altro che disprezzabili.

Arrivati alla fine di aprile, la cittadina si riempì a tal punto che per alloggiare i numerosi giornalisti invitati fu necessario occupare alberghi delle zone limitrofe. A quei tempi non c’era l’offerta esagerata di agriturismo dei nostri giorni. Si verificarono situazioni grottesche, come quella dei dieci wine-writers britannici che atterrarono a Bologna, perché secondo il solerte funzionario dell’ICE di Londra questo era l’aeroporto più vicino. Gli stessi sfortunati “sassenach” furono poi ospitati in un bel convento ancora in fase di ristrutturazione, in fondo ad una stradina sterrata. Solo trovarlo fu un’impresa. Fra i dieci c’era anche l’allora semi-sconosciuta Jancis Robinson, totalmente digiuna di Sangiovese.

Nonostante questi piccoli inconvenienti le celebrazioni andarono bene. A parte la dimenticanza sconcia dell’Altra Nobile Famiglia del luogo, che non venne nemmeno nominata fra l’elenco dei produttori storici, in quanto allora non faceva parte del Consorzio. L’evento culminò con un pranzo in giardino nella proprietà del Vecchio Gentiluomo. Vi partecipò la crème de la crème dell’enomondo di allora. Mentre gli ospiti gustavano l’aperitivo in terrazza, la sottoscritta, insieme ad altri umili sherpa, si affannava a sistemare i segnaposto sui diversi tavoli. Alla fine mi ritrovai seduta fra Burton Anderson e Rosemary George. Fu servito il Brunello di Montalcino 1983 – di cui parlerò in una puntata successiva -. Mi divertii tantissimo e mi piacque pensare di aver fatto parte di un momento così importante nella storia di Montalcino. Lo penso ancora adesso. Quello fu forse l’anno in cui si riaffermò definitivamente l’importanza di un luogo piccolo, ma a suo modo gigantesco.

Conferma delle conferme fu la vendemmia nell’autunno successivo. L’annata 1988 per Montalcino fu forse la migliore di quel decennio. Recentemente ho stappato e bevuto con intenso godimento un Brunello di quel millesimo. Un vino nel pieno della sua potenza espressiva, un naso perfetto nella combinazione di frutto esplosivo ed aromi boschivi. In bocca una complessità lunghissima, una passeggiata a cavallo dopo la pioggia. L’eleganza dell’animale, l’odore delle foglie, la morbidezza del muschio, la lunghezza della corsa.

Un giornalista giapponese mi disse che il numero 8 raddoppiato è simbolo di grande fortuna, considerando che quello fu anche l’anno del mio matrimonio, non posso che dargli ragione.

3 commenti to “Quadrilogia della vendemmia con prologo ed epilogo”

  1. Beh l’inizio di questa storia emozionante suscità già la curiosità di leggere il seguito… attenderò impaziente!

  2. Non vedo l’ora di leggere il seguito. Questi racconti, quando riescono così bene a tradurre il sapore degli anni, mi emozionano sempre. Sarà che anche io ho avuto la fortuna di vivere intorno al vino da quando avevo otto anni e ravvivare attraverso testimonianze dirette delle sensazioni sopite o (come penso avverrà in seguito) umori contrastanti, è utile, oltre che piacevole..che riuscissimo a leggere meglio la bolla mediatica in cui siamo immersi??

    • Nostalgico per essere un poco più che trent’enne.
      A parte gli scherzi il pezzo è davvero bello. Come sentire una storia raccontata sulle ginocchia del nonno. Siamo solo un po’ più grandi, più smaliziati e più diffidenti. Per fortuna, almeno per quanto mi riguarda, le storie incantate possono esistere ancora.

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