di Giampaolo Gravina
Ero lì che aiutavo mia figlia alle prese con Baudelaire, quando sono inciampato in un verso che non esiterei a definire come una legittimazione delle più autorevoli del nesso tra il vino e gli Alterati. Intendiamoci: non è che agli Alterati servano legittimazioni di sorta, essendo del tutto autoevidente la matrice vinosa del nostro permanente stato di alterazione. E tuttavia il passaggio mi ha molto colpito e merita un approfondimento. Siamo nella parte dei Fleurs du mal in cui è il vino a farla da padrone: e accanto al vino degli amanti, degli straccivendoli e degli assassini, Baudelaire dedica qualche verso anche al vino del solitario.
Le vin du solitaire
Le regard singulier d’une femme galante
Qui se glisse vers nous comme la rayon blanc
Que la lune onduleuse envoie au lac tremblant,
Quand elle y veut baigner sa beauté nonchalante;
Le dernier sac d’écus dans les doigts d’un joueur;
Un baiser libertin de la maigre Adeline;
Les sons d’une musique énervante et câline,
Semblable au cri lointain de l’humaine douleur,
Tout cela ne vaut pas, ô bouteille profonde,
Les baumes pénétrants que ta panse féconde
Garde au coeur altéré du poète pieux;
Tu lui verses l’espoir, la jeunesse et la vie,
– Et l’orgueil, ce trésor de toute gueuserie,
Qui nous rend triomphants et semblables aux Dieux!*
Come salta immediatamente agli occhi del lettore, anche del più distratto, il centro di gravità permanente di questi versi è con tutta evidenza proprio il riferimento “al cuore alterato del poeta”, che chiude la prima terzina. Magari non sarà del tutto chiaro se a propiziare l’alterazione siano i balsami penetranti del liquido odoroso, quelli che la pancia feconda della bottiglia di vino raccoglie e conserva preziosamente; o se l’alterazione visionaria preceda l’avvento alcolico e ne costituisca una sorta di premessa, di garanzia, di vocazione preliminare. Ma non è questo il punto: l’alterazione resta al centro della poesia, per qualsiasi verso la si voglia prendere e considerare.
Ora, però, si dà il caso che la vecchia edizione Einaudi dei Fleurs du mal che ho rispolverato per l’occasione, per farmi bello agli occhi di Gaia, sia di quelle con testo a fronte. E quando l’occhio mi è caduto sulla traduzione italiana di Giovanni Raboni, ho fatto un salto sulla sedia: “coeur altéré” diventa infatti qui (pag. 197) “sitibondo cuore”. Con tutto il rispetto per Giovanni Raboni, pace all’anima sua, e per l’asse ariostesco-leopardiano che il dizionario di Tullio De Mauro suggerisce nel riferire la matrice letteraria del lemma sitibondo, direi proprio che non ci siamo. Sitibondo sarà lei. Va bene la sete, il desiderio, la bramosia, ma qui il poeta – e noi con lui – è piuttosto alterato. Alterato e basta.
Chissà perché ci sono fior di traduttori che non sempre accettano l’evidenza delle scelte più semplici. Magari intendono aggirare l’ostacolo dell’ovvietà, ma nella manovra restano talvolta impigliati tra le maglie di una comicità involontaria. Mi torna in mente il caso di una traduzione da Beckett, riportato dal geniale Paolo Nori in uno dei suoi Pubblici discorsi (Quodlibet, 2008, p. 164). Dice Nori:
C’è un mio amico di Reggio Emilia che ha tradotto Beckett in dialetto reggiano. Ha tradotto un racconto che cominciava con l’espressione I was feeling awful. Che ritradotto in italiano […] suona così: Stavo male. Be’, c’è un traduttore italiano, che ha tradotto Beckett in italiano, quell’inizio lì, I was feeling awful, l’ha tradotto così: Avevo una tarantola di inquietudini in petto.
E tutti risero.
*Lo sguardo singolare d’una donna galante
che scivola verso di noi come il bianco raggio
che la luna oscillante invia al lago increspato
quando vuole bagnarvi la sua pigra bellezza;
L’ultimo sacco di monete fra le dita del giocatore;
un lascivo bacio della magra Adelina;
i suoni d’una musica snervante e dolce,
simile al grido lontano del dolore umano
Tutto questo non vale, bottiglia profonda,
i balsami penetranti che la tua pancia feconda
conserva al cuore alterato del poeta devoto;
Tu gli versi la speranza, la giovinezza e la vita
– e l’orgoglio, tesoro dei mendichi,
che ci rende trionfanti e simili agli Dei!