di Fabio Rizzari
Per la degustazione comparata vale la nota boutade sulla democrazia: è un mediocre sistema di governo, ma è il migliore che conosciamo. Per dire, se un editore approvasse l’idea, un metodo interessante sarebbe di assaggiare un solo vino al giorno, anzi in due o tre giorni, per studiarne ogni minimo aspetto. Verrebbe fuori così una guida che recensirebbe una cinquantina di vini in tutto, ma estesa quattro o cinquemila pagine: per ogni bottiglia si scriverebbe infatti un vero e proprio trattato. Certo, alla fine la pubblicazione sarebbe inutile e noiosissima, arriverebbe in libreria dopo mesi e anni dall’uscita dei vini sul mercato, ma si sarebbe superato il vincolo ferreo della degustazione comparata. Come effetto secondario forse si riscuoterebbe addirittura l’approvazione dei più severi censori, che – affrontando il vino come un oggetto di studio universitario – dall’alto della loro serietà claustrale disapprovano la sinteticità e la superficialità della critica corrente.
Infatti, che si assaggi da soli, in due o in gruppo, la degustazione comparata in sé ha grandi limiti teorico-pratici. Tutti gli approcci di sistema, dai più seri e encomiabili (penso agli esperti di analisi sensoriale) ai più spernacchiabili, si prestano a obiezioni di non poco conto. Non le elenco tutte, ci mancherebbe. Giusto un tratto di penna, una pulce nell’orecchio di chi comincia entusiasticamente ad occuparsi di degustazione, perché non deifichi i vecchi rituali dell’enofilo: anonimizzazione dei “campioni”, temperature di servizio, forma, peso e colore dei bicchieri, incrocio e normalizzazione statistica dei dati del panel, eccetera. Metodi che si adottano, ma nell’adottarli si deve imperativamente conoscerne le implicazioni inefficaci e i punti deboli.
Si potrebbero portare numerosi casi pratici. Ne pesco uno emblematico. Uno degli snodi più delicati si presenta nel momento in cui si degustano decine di vini dalle caratteristiche organolettiche davvero accentuate; dei Barolo, per esempio. Molto ricchi in acidità, tannini, alcol, tali rossi costituiscono un banco di prova temibile per l’assaggiatore. Per cominciare da un punto di vista fisico: narici, denti, lingua, palato, gengive, trachea, stomaco, fegato sono messi a dura prova, come i freni in un circuito di Formula Uno pieno di curve. Poi dal punto di vista della concentrazione, perché ogni singolo vino richiede uno sforzo interpretativo e un’attenzione quasi spasmodici.
Al netto delle frastornanti varianti di ruolo che propongono dei Barolo giovani (chiusure olfattive, durezze gustative passeggere, riduzioni, similossidazioni che poi non si rivelano ossidazioni, bottiglie fallate, variazioni tra bottiglie, tappi espliciti e nascosti, eccetera), l’insidia forse maggiore viene dall’effetto di alone. Dall’effetto cioè che un vino che precede ha sul/i vino/i successivo/i. Provare di seguito tre o quattro Barolo particolarmente tannici e acidi è come anestetizzare il palato per qualche minuto. Il Barolo successivo, magari più delicato e floreale, può venire quindi percepito come vuoto o anemico: e quindi essere sottovalutato. Noi cerchiamo di neutralizzare l’effetto di alone, temibilissimo, alternando l’ordine di assaggio, riprovando le bottiglie già stappate e usando altre tecniche assortite. Ma questa è solo una delle lampanti dimostrazioni di come la degustazione comparata vada maneggiata con estrema cautela (uso esterno).
F.R.
PS per i neofiti: se si assaggia in due o più persone (eviterei di superare il numero complessivo di 200 partecipanti) non basta assaggiare alla cieca, è necessario assaggiare alla sorda e alla muta. Ogni minimo commento, anche sussurrato a mezza bocca, influenza la temperatura complessiva del panel, e può cambiare non di poco i risultati finali.