di Rizzo Fabiari
Ieri pomeriggio esperienza visiva estrema e definitiva con il film Vita di Pi. Considero da molti anni Ang Lee uno dei due o tre più monumentali registi del globo terracqueo. Per rimanere nell’orticello dei temi enogastronomici, consiglio a chi non l’avesse ancora fatto di vedere il suo Mangiare Bere Uomo Donna, un capolavoro di delicatezza e misura espressiva.
Certo, l’aspetto misticheggiante non è tenuto del tutto sotto controllo e risulta un po’ superimposto, ma l’impatto propriamente cinematografico (ricordo a gente come quella citata più sotto che vuol dire all’incirca “immagini in movimento”) è unico.
Bene. Oggi vado nel valido sito mymovies e leggendo la rassegna critica del film mi imbatto nel più perfetto esempio di ribaltamento della realtà che mi sia stato dato di sopportare negli ultimi tre decenni. Una tipa, tale Giulia d’Agnolo Vallan, si impegna a dimostrare ne Il Manifesto che l’opera non abbia “fantasia né tormento”, che sia “più irritante del solito” e altre amenità del genere.
Ogni tanto càpita di dover constatare, nella rassegnazione generale, analoghe contorsioni in altri ambiti dell’esperienza umana. Sostengo però che qui si travalichi il naturale, legittimo e democratico limite di un’opinione diversa dalla propria. Quando si rovescia la verità come un calzino si aggiunge un elemento estraneo al confronto tra idee. In senso oggettivo e dimostrabile. Conscio che si tratta di un paragone iperbolico, è come sostenere che la Cappella Sistina contenga una singola figura e per di più monocromatica.
In casi simili il mio grado di alterazione, di base notevole, raggiunge valori elevatissimi. Mi contengo, ma insisto con la citazione leopardiana più opportuna, già proposta altrove in queste ore:
“non so se il riso o la pietà prevale”.