di Raffaella Guidi Federzoni
“Non esistono Maestri, solo Cattivi Maestri. Tutti gli altri ci hanno insegnato, non condizionato, per questo si chiamano Insegnanti.”*
Questa sentenza provocatoria, letta di recente, mi ha portato ad una serie di riflessioni che toccano anche il campo vinoso. Tale campo è a volte minato, per cui a percorrerlo si rischia di saltare in aria per aver pestato una bomba appena sotterranea.
A me però piace scrivere pericolosamente, quindi continuo la mia dissertazione alterata.
L’unica Maestra che mai abbia avuto fu la suora che mi seguì dalla prima alla quinta elementare. Una donna che adoravo ma che mi terrorizzava, tale era la sua personalità e la certezza delle sue convinzioni. Quando la rividi mentre frequentavo la seconda media, mi accorsi che ero più alta di lei, ero cresciuta e la potevo amare senza condizionamenti. Tanti anni dopo seppi che era morta e piansi. Poi continuai a vivere la mia vita.
Tornando al vino, annessi e collaterali, esiste in Italia una Trinità letteraria intoccabile, composta da Mario Soldati, Gianni Brera e Luigi Veronelli. Soprattutto l’ultimo è oggetto di venerazione. Venerazione aumentata in modo esponenziale dopo la sua scomparsa, come è cresciuta notevolmente la quantità dei suoi allievi, di chi ci passava le serate a bere, di chi riceveva le sue telefonate (cit. Gianni Agnelli), di chi riceveva la carità di un suo sorriso, della sua attenzione anche per un minuto-secondo.
Fino a ciò, pazienza, ce ne faremo una ragione se un gruppetto di quaranta-cinquantenni con decenni di esperienza degustativa alle spalle sente ancora il bisogno di appellarsi al Nostro per rendere il proprio curriculum credibile, o se qualche produttore esibisce documenti approvatori dei propri vini passati per avvallare la qualità di quelli presenti.
Quello che preoccupa è l’atteggiamento delle nuove eno-generazioni. Parlo di ventenni, trentenni e appena quarantenni che si aggirano virtualmente con la faccia di Luigi Veronelli stampata sulla maglietta, manco fosse il Che. Non si fa il pari a leggere citazioni del suo dire, del suo fare (del suo baciare, no, affari suoi) della sua lettera, del suo testamento.
Tutto questo è preoccupante, molto preoccupante.
Se in mezzo secolo l’Italia enoico-giornalistico-letteraria ha prodotto un solo grande Maestro di riferimento, non è affatto un buon segno. Avremmo avuto bisogno di una scuola divulgativa, in grado di traghettarci fra quello che era il mondo del vino fino vent’anni fa e quello che è diventato adesso, non di un singolo. Se ci riferiamo sempre allo stesso, o a quegli altri due, abbiamo un passato troppo povero. Se di un giornalista, filosofo, comunicatore a volte poco decifrabile, e delle sue opere se ne fa un manifesto anarchico vuol dire che si è persa la misura del sapere e giudicare. È nato un Mito, è morto un uomo.
Anarchia è una parola tanto seducente quanto pericolosa.
Per me, di tutto abbiamo bisogno, meno che di anarchia.
Il presente non deve proporre Miti o Maestri, ma Insegnanti che sappiano insegnare ed allievi che abbiano voglia di imparare, per poi andarsene per la loro strada.
* da “I Non Pensieri” di F.U. Hoff.