di Rizzo Fabiari
Ovvero l’arte della non resistenza applicata al vino. Se c’è un pregio nei vini chiamati poco puntualmente naturali – o meglio, nei migliori vini naturali – è che non offrono resistenza al palato. Sono per così dire cedevoli, scorrevoli, privi di elementi di freno e ostacolo allo sgargarozzamento.
In giapponese Ju sta più o meno per flessibile, cedevole, mentre jitsu sta più o meno per arte o tecnica.
Dal mio punto di vista, meglio sarebbe parlare di vini del Jujitsu anziché di vini naturali; ma mi rendo conto che si tratta di un’espressione poco adatta alla chiacchiera tra conoscitori e ancora meno adatta al relativo, fiorente mercato.
Tanto più che naturale conduce a un potenziale equivoco semantico: nelle orecchie di molti vino naturale suona per estensione vino sano. Sano come una bella mela “biologica”, come una costa di sedano da agricoltura biodinamica, come una carota del contadino appena fuori città. Ahinoi, devo ricordare a me stesso e ai poeti della natura che il vino contiene un piccolo dettaglio piuttosto seccante: una potente neurotossina, chiamata comunemente alcol.
Teniamoci dunque, per capirci nella chiacchiera gergale, l’aggettivo naturale, evocativo e consolatorio, in assenza di termini meno sfocati. E teniamoci anche stretto il nostro carissimo vino, chissenefrega se mi brucia un po’ quei quattro neuroni che mi sono rimasti. Non ci rinuncerei per nulla al mondo.
Ma che sia un buon vino del Jujitsu.